La guerra di un soldato in Cecenia by Arkadij Babčenko

La guerra di un soldato in Cecenia by Arkadij Babčenko

autore:Arkadij Babčenko [Babčenko, Arkadij]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788852018282
editore: Mondadori


Pace

Da cinque giorni siamo fermi al villaggio di Kalinovskij.

È arrivata la pace e la nostra dislocazione per la prima volta assomiglia a un accampamento militare invece che a una baraccopoli. Le tende sono allineate su due file precise, lungo la pista di decollo. Sulla pista, sempre in riga, è disposta l’attrezzatura tecnica, dietro le tende è sistemata una serie di lavabi, poi una fila di rifiuti e infine di cessi. Tutto ordinatamente diviso per gradi.

Stiamo bene. Il sole splende, fuori è bellissimo, fa caldo, ci saranno, credo, venticinque gradi. Siamo in aprile, per i parametri locali è estate. Nella steppa, da piccoli visoni spuntano giovani malmignatte, che catturiamo e teniamo in barattoli di latta. Le nutriamo con delle cavallette. Ci riposiamo. Per noi la guerra è finita, qui siamo nel pieno delle retrovie.

Il nostro reggimento ha smesso di combattere, lo portano oltre il fiume Terek per riorganizzarlo. I soldati vengono congedati dopo aver rifiutato l’offerta, del tutto formale, di un nuovo contratto per tre anni, con la possibilità di vedersi assegnato un appartamento. L’appartamento verrebbe assegnato qui a Kalinovskij: ce ne sono molti vuoti, abbandonati dalle famiglie russe in fuga da questi posti.

Nessuno accetta. Alle spalle abbiamo quattro mesi di guerra, Groznyj, montagne, freddo, fame, sporcizia, morte. Tutti vogliono tornare a casa.

Non c’è più la guerra e di colpo ci ritroviamo senza niente da fare. Nel battaglione, in attesa del congedo, siamo allo sbando e ci diamo al cazzeggio.

Ci siamo impigriti. Camminiamo in formazione malvolentieri. I comandanti dei plotoni fanno fatica a ottenere che abbottoniamo i colletti. Non c’è verso di farci indossare gli stivali.

Conserviamo sempre lo stesso aspetto esteriore. La forma nell’abbigliamento viene osservata in un certo senso solo dagli ufficiali: loro almeno portano i pantaloni. Noi, invece, dopo esserci annoiati a stare in riga mezz’ora al mattino e aver udito “riposo”, ci leviamo di dosso tutto l’armamentario e rimaniamo con i mutandoni rimboccati al ginocchio, dedicando tutta la giornata a noi stessi. Ci laviamo, ci radiamo, facciamo il bucato, mangiamo, fumiamo, chiacchieriamo... O ronfiamo in tenda, prendiamo il sole, andiamo a caccia di ragni, oppure cazzeggiamo semplicemente, ingegnandoci per trovare della vodka e qualcosa da offrire in cambio: con la guerra in via di conclusione non ci distribuiscono più cartucce e gasolio, mentre la carne in scatola ce la rubano direttamente i comandanti.

Insomma, ci riposiamo.

Di tanto in tanto, il comando arriva con una commissione, spinto dall’idea delirante di trasformarci in un vero esercito. Per questo nei quartier generali ogni volta si inventano lo stesso identico copione: una parata con marcia solenne, inni militari, attenti a sinistra e i soliti annessi e connessi. Allora il comandante, capendo che dal battaglione, da questa massa di ubriachi che hanno vissuto la guerra, non tireranno fuori nessuna canzone militare a parte “vaffanculo”, caccia l’accozzaglia nel boschetto di platani più vicino, dove, in attesa della partenza del comando, strimpelliamo placidamente la chitarra, cercando di non farci notare e di non scioccare con il nostro aspetto i generali.

La commissione vaga per le tende vuote, non trova nessuno per l’ispezione, si stringe nelle spalle, perplessa, e va via.



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